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Anno Pastorale 2005 - 2006
SIGNORE DA CHI ANDREMO


LETTERA ALLA COMUNITA’ PER L’ANNO PASTORALE 2005-2006
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SIGNORE, DA CHI ANDREMO
I. Ogni attività, diretta al bene delle anime, deve avere il suo inizio e il suo culmine in Gesù Cristo Eucaristia attraverso l’azione liturgica, caritativa e di formazione con proposte ed elementi nuovi per vivere meglio nella comunità questa triplice dimensione.
Per quest'anno pastorale 2005-2006 ho pensato, quindi, di offrire delle considerazioni semplici con l’unico scopo di aiutare i collaboratori ad una maggiore responsabilità e la comunità affinchè, pur nella sua complessità e diversità, prosegua il suo cammino verso l’unità.
L’anno speciale eucaristico proposto da Giovanni Paolo II, di venerata memoria, raggiunge il suo culmine nell’ottobre 2005. “Resta con noi, Signore”, è stata l’invocazione dominante dell’anno eucaristico, deve segnare e scandire ormai i momenti e la vita di ogni comunità. Nello stesso tempo la Chiesa Italiana si prepara a celebrare la XI Assemblea generale ordinaria del sinodo dei Vescovi, che si svolgerà dal 2 al 23 ottobre 2005 a Roma sul tema: <<L’Eucaristia: fonte e culmine della vita della Chiesa>>. L’Istrumentum Laboris, che i vescovi della plenaria avranno fra le mani, preceduto da diversi documenti magisteriali: Enciclica Ecclesia de Eucaristia, la lettera Apostolica Mane Nobiscum Domine, l’istruzione Redemptionis Sacramentum e il sussidio Anno dell’Eucaristia, si concentra su vari aspetti del rapporto dei fedeli e dei Ministri con l’Eucaristia. Questo stesso documento, che la Chiesa avrà nell’edizione finale, dice che “l’Eucaristia sta ad indicare che la Chiesa e l’avvenire del genere umano sono legati a Cristo, unica roccia veramente duratura, e non ad alcuna altra realtà” (cf I. L. N° 9). Ciò trova lo spazio celebrativo, più idoneo nella Parrocchia, ove si svolge la vita ecclesiale. “Essa, la parrocchia, debitamente rinnovata ed animata, dovrebbe essere il luogo idoneo alla formazione e al culto eucaristico, dato che, come insegna il Papa Giovanni Paolo II, la parrocchia è <<comunità di battezzati che esprimono la loro identità soprattutto attraverso la celebrazione del sacrificio Eucaristico>>”. (cf. I. L N° 13). Purtroppo, oggi, proprio nella parrocchia “si assiste a un declino della pratica della fede, della partecipazione alla santa Messa, prevalentemente tra i giovani. Ciò deve far riflettere su quanto tempo si dedichi da parte dei pastori e catechisti all’educazione dei ragazzi e bambini alla fede e quanto invece ad altre attività, come quelle sociali”. (cf. I. L. N° 6). Per queste ragioni occorre una catechesi più appropriata per innamorare le generazioni all’Eucarestia “eliminare possibili concezioni magiche, superstiziose o spiritistiche dell’Eucaristia Urge premurarsi contro i sacrilegi delle ostie consacrate, che si compiono nei riti satanici e nelle cosiddette messe nere". (cf. I. L. N° 59) .
II. Il momento storico presente, molto complesso e travagliato, segna l’inizio del terzo millennio tra luci ed ombre, che fanno riflettere fortemente ogni persona sensibile sul futuro stesso dell’umanità: il relativismo, il soggettivismo, come li chiama Benedetto XVI, sembrano l’unico indirizzo sociale e culturale verso cui tutto tende, ossia la negazione che possa esserci qualcosa di assoluto, che ci possa essere la Verità oggettiva, che ci possa essere Dio, che l’unico assoluto non sia il proprio io. In questo contesto opera oggi ogni pastore di anime.
Il 25 luglio 2005, nella Chiesa di Introd, in Valle d’Aosta, il Papa si è intrattenuto in un’interessante e stimolante, nonché illuminante, conversazione con il Vescovo e i preti di quella regione, dialogo che, ovviamente vale per tutto il clero della Chiesa cattolica. Il papa, di fronte allo scoraggiamento degli attuali pastori, riprendendo lo stesso atteggiamento adottato ai tempi di Gesù, quando, nonostante il Vangelo fosse annunciato con prodigi e segni, il mondo, apparentemente, rimaneva com’era, niente cambiava, e ricordando la parabola del seminatore e del seme, afferma: “tuttavia nel seme è presente il futuro, perché il seme porta in sé il pane di domani, la vita di domani… siamo nel tempo della semina, la Parola di Dio sembra solo parola, quasi niente. Ma abbiate coraggio, questa Parola porta in sé la vita e porta frutto!... La gente sembra non aver bisogno di noi, sembra inutile tutto quanto facciamo..! Come il chicco di grano caduto in terra: solo con un processo di sofferta trasformazione si giunge al frutto e si apre la soluzione”. E’ vero: la Parola di Dio è come la pioggia che non ritorna al punto di partenza senza prima aver irrigato, fecondato e fatto germogliare.
Dobbiamo prendere a cuore, con fiducia e speranza, queste difficoltà del nostro tempo e trasformarle soffrendo con Cristo e così trasformare noi stessi. Nella misura nella quale noi stessi saremo trasformati, potremo anche rispondere alla domanda sul “che fare?”, potremo anche vedere la presenza del regno di Dio e farlo vedere agli altri. Quindi, il Sommo Pontefice indica nella croce, nella morte di Cristo, apparente sconfitta, il germe del rinnovamento e del successo, la croce di Cristo, che in noi diventa kenosi e metanoia, abbassamento e conversione allo stesso tempo. “Io penso che non c’è un sistema per un cambiamento rapido. Dobbiamo andare, oltrepassare questa galleria, questo tunnel, con pazienza, nella certezza che Cristo è la risposta e che alla fine apparirà di nuovo la sua luce”. Il Papa ha fatto riferimento alla solitudine dei sacerdoti, all’eventuale disorientamento etico e all’enorme mole di lavoro che incombe su di loro: a tal proposito ha dichiarato che per un sacerdote “E’ importante avere intorno a sé la realtà del presbiterio, della comunità di sacerdoti che si aiutano, che stanno insieme in un cammino comune, in una solidarietà nella fede comune. Continua ancora il papa: “Se appare nei nostri fatti il nostro essere profondamente uniti con Cristo: essere strumenti di Cristo, bocca per la quale parla Cristo, mano attraverso la quale agisce Cristo, il fare convince solo in quanto è realmente frutto ed esperienza dell’essere” (Benedetto XVI, Conversazione al Clero della Valle d’Aosta, supplemento al “L’osservatore romano”, 26 luglio 2005). Ecco allora, nelle parole del Papa Benedetto XVI, il segreto della vita pastorale animata dal Sacerdote: sofferenza e pazienza in conformità a Cristo, buon pastore che offre la sua vita per le pecorelle del suo gregge.
III. Nel contesto-socio-culturale in cui siamo, cosa dire dei cristiani fedeli laici?
Si deve far propria l’impostazione che suggeriscono i Vescovi Italiani: “Condividere con essi l’esperienza e il desiderio di <<rimetterci per strada>> e portare l’annuncio di Gesù Risorto alla gente che vive accanto a noi, camminando con loro, cogliendone le istanze più profonde e le domande sul senso della vita e della morte, sul bene e sul male, sulla salvezza e sulla rovina eterna. Insieme, pastori e laici, siamo chiamati a essere vicini all’uomo di oggi. Solo uniti possiamo attivare un vero dialogo di salvezza per la Chiesa e per il mondo” (cf. Fare di Cristo il cuore del mondo N°.1). I Vescovi Italiani non esitano a definire il laico cristiano un corresponsabile in quanti ha la vocazione a vivere le realtà del mondo con la piena responsabilità ecclesiale nell’apostolato all’interno della comunità cristiana. Bisogna superare la tentazione della disattenzione, della sfiducia e del disimpegno, perché “una cosa è certa: il Signore ci chiama; chiama ognuno di noi per nome. La diversità di carismi e di ministeri nell’unico popolo di Dio riguarda le forme della risposta, non l’universalità della chiamata. Nel ministero della comunione ecclesiale dobbiamo ricercare la coralità di una risposta armonica e differenziata alla chiamata e alla missione che il Signore affida a ogni membro della Chiesa. Il momento attuale richiede cristiani missionari, non abitudinari.” (N°.2).
In particolare sulla parrocchia i Vescovi dichiarano: “E’ la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare. Essendo la parrocchia “come una cellula della diocesi” raccomandiamo a ogni laico di avere contestualmente il senso della parrocchia e il senso della diocesi, non sottraendosi mai a tale appartenenza, ma anzi ponendola a base di eventuali inserimenti in peculiari aggregazioni. Anche quando specifiche ragioni portino il laico, temporaneamente lontano dalla propria chiesa locale, non verrà mai meno la sua propensione a considerare la propria diocesi e la propria parrocchia come la famiglia ecclesiale attraverso cui egli entra nel circuito della Chiesa universale. E tale appartenenza reclamerà sempre il suo personale contributo, quale fratello corresponsabile, con gli altri membri di famiglia” (N°.9).
IV. Nel vasto ambito della Chiesa dei Cristiani fedeli laici, occorre una attenzione particolare per i giovani i quali hanno tanto bisogno di cura, di affetto e della proposta cristiana. Come stavano a cuore a Giovanni Paolo II!. Non possiamo non ricordare le giornate della gioventù, e quella di quest’anno a Colonia, in Germania, e specialmente il messaggio che il Papa ha rivolto loro il 18 agosto scorso: “A tutti vorrei dire con insistenza: Spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il “diritto di parlarvi”! Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso! Esponete le vostre gioie e le vostre pene a Cristo, lasciando che Egli illumini con la sua luce la vostra mente e tocchi con la sua grazia il vostro cuore. Fate l’esperienza liberatrice della Chiesa come luogo di misericordia e tenerezza di Dio verso gli uomini: nella Chiesa e mediante la Chiesa raggiungerete Cristo che vi aspetta”.
Il papa Benedetto XVI continuava ancora ponendo interrogativi ai milioni di giovani che in pellegrinaggio lo avevano preceduto e atteso a Colonia: “ Dove trovo i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all’edificazione del presente e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi, a chi affidarmi? Dov’è Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Simili domande significano innanzitutto riconoscere che il cammino non è concluso fino a quando non s’è incontrato colui che ha il potere di instaurare quel regno universale di giustizia e di pace cui gli uomini aspirano, ma che non sanno costruire da soli; significa cercare qualcuno che non s’inganna e non può ingannare ed è perciò in grado di offrire una certezza così salda per la quale, se è necessario, vale la pena di vivere e morire. E concludeva, il Santo Padre, in maniera così suggestiva e sorprendente: “Chi fa entrare Cristo nella propria vita non perde nulla, nulla, assolutamente, nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No, solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Siatene pienamente convinti, Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo”. Ciò che il Papa dice ai giovani vale per tutti, anche per me sacerdote e parroco nel cammino della comunità dei Sacri Cuori.

SEMPLICE SCHEMATICA TRATTAZIONE
DI  UN LUOGO COMUNE


Qualsiasi essere vivente è, allo stesso tempo, comunicatore e ricettore di messaggi.
Il Sacerdote, nell’omelia, si prepara a trasmettere dei contenuti con riferimento alla Parola proclamata che già, al fedele attento ed illuminato dalla forza dello Spirito, comunica l’essenziale del messaggio. Allo stesso tempo, il Sacerdote avverte, dalla semplice gestualità dell’assemblea, il gradimento. Un messaggio è il risultato dell’insieme verbale: tono della voce, chiarezza di espressione, logicità di esposizione del concetto; e paraverbale: gesti, espressione del volto ecc… . A questo proposito, per quanto è possibile, sarebbe meglio non abusare di strumenti di amplificazione. Quindi, l’efficacia del messaggio non è costituita soltanto dal contenuto verbale che si vuole far passare agli altri, ma dalla sintesi di tanti fattori, alcuni addirittura impercettibili alla stessa mente umana. Da sempre si sente parlare di omelie lunghe, brevi, senza contenuti, noiose ecc. Si deve, però precisare che questi luoghi comuni, nella maggior parte dei casi, dipendono da fatti puramente soggettivi. Quasi sempre il fedele, soprattutto oggi, viene a Messa già con la mente satura e in elaborazione delle problematiche famigliari e ambientali. Quindi, mentre è presente fisicamente, è assente totalmente con la sua attenzione al messaggio della Parola e alla relativa catechesi del Sacerdote, anzi può creare, al ricettore, fastidio e addirittura stati di ansia. Una condizione psicologica che trova, in parte, una sorta di liberazione nell’espressione: Quando la finisce! Di fronte a questa realtà il comunicatore, cosciente della novità che vuole trasmettere, per svegliare l’attenzione, adotta delle strategie che conosce: metafore, parabole o qualcosa di simile, comunque una forma analogica. Si sforza di non ingolfare di contenuti l’omelia, sviluppando un solo concetto, possibilmente quello sintesi dell’insieme, preceduto da qualche esempio esperienziale anche se il risultato alla fine è quasi sempre lo stesso. Si è coscienti, però, che è piacevole ascoltare il comunicatore quando il ricettore vede in lui il testimone, la coerenza, della Verità che annuncia. E’ tanto soddisfacente che il recettore esclama: ha già finito!
Dunque, l’indice d’ascolto del recettore è direttamente proporzionale al grado di testimonianza che il comunicatore offre con la vita della Verità che annuncia.
Paolo VI, di venerata memoria, ricorda: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (cf. E.N. N°40)

IL PARROCO
Sac. Carmine DE FRANCO
 

 
   

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® Parrocchia dei Sacri Cuori - Piazza Giovanni XXIII - 87012 Castrovillai (Cs)

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